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A Giorgio da Michele
Sono convinto che i libri non vadano presentati. Non per l’idea che quel verbo corrivo col suo sentore di galateo spicciolo rafferma nella ritualità delle case editrici, ma per una ragione più profonda: perché non si può farlo se lo si è letto.
Se lo hai letto lo puoi raccontare a tuo modo, puoi gelosamente citarne passi e luoghi narrativi (se di narrativa si tratta) o raccontare la passione che hai ricavato dalla lettura, il diletto, la rabbia o la curiosità. Puoi, se non ti è piaciuto, ammettere che quel libro giammai raccomanderesti ad un amico e aggiungere che non lo hai finito di leggere. Ma non lo puoi presentare.
Si presentano i libri che non hai letto, quelli intorno ai quali hai curiosato guardandoli, soppesandoli, sfogliandoli, spigolando or qua or là, annusandone le pagine addirittura. Se non sei onesto mentirai e, affidandoti all’intuito alimentato dai risvolti di copertina, dalle prefazioni, da qualche riga rubacchiata spulciando o alla pura congettura sorretta da una buona dose di fortuna e dall’esperienza stagionata del lettore abituale. Se sei onesto basterà raccontare le ragioni che ti hanno spinto a comprare e ti muoveranno a leggere il libro compresa quella che stimi l’autore per precedenti incontri letterari o per pregressi successi ai tuoi occhi e per il tuo gusto. Intanto potrai azzardare una profezia, un presentimento e spingerai gli uditori a leggere il romanzo (sto parlando di un romanzo) dando loro un appuntamento per parlarne diffusamente a lettura compiuta in un bel simposio.
In questo caso mi azzardo a parlare di “Sussurri dal tempo” di Giorgio Astolfi (Spunto Edizioni, la benemerita casa editrice) perché lo sto leggendo. E mi piace. Mi piace a cominciare dalla sfida civilissima dell’autore che consiste nell’ambientare intenzionalmente la storia in un paese della Basilicata che, per turpi e stupide ragioni porterebbe male, avrebbe la patente di iettatore. Ma questo sarebbe solo uno spunto di curiosità antropologica. Il fatto è che il libro avvince per la storia che narra, convince per la scrittura ariosamente limpida in un Italiano schietto e ordinato: una lingua che riconcilia con le doverose e numerose citazioni storiche e di cronaca giornalistica, visto che narra con onestà e compiutezza documentaria una vicenda ambientata nella storia d’Italia e di Europa seguendo le vite di donne che, tutte, sembrano, rivendicare giustizia per quelle che hanno sofferto nel passato, penano nel presente, rischiano di dover piangere ancora domani.
E quel paese minuscolo e perseguitato dalla stupidità sociale, unico personaggio tra i tanti inventati che è vivo, vegeto e vero, è riscattato dalla letteratura. “Sussurri dal tempo”, dunque, mi sta piacendo perché mi avvince e mi incuriosisce attendere lo sviluppo della vicenda, il “plot” diranno gli sceneggiatori del film che non potrà non girarsi. E, poi, c’è una terza ragione per la quale finirò di leggere questo libro: Giorgio Astolfi è amico mio.
Michele Mirabella
Sono convinto che i libri non vadano presentati. Non per l’idea che quel verbo corrivo col suo sentore di galateo spicciolo rafferma nella ritualità delle case editrici, ma per una ragione più profonda: perché non si può farlo se lo si è letto.
Se lo hai letto lo puoi raccontare a tuo modo, puoi gelosamente citarne passi e luoghi narrativi (se di narrativa si tratta) o raccontare la passione che hai ricavato dalla lettura, il diletto, la rabbia o la curiosità. Puoi, se non ti è piaciuto, ammettere che quel libro giammai raccomanderesti ad un amico e aggiungere che non lo hai finito di leggere. Ma non lo puoi presentare.
Si presentano i libri che non hai letto, quelli intorno ai quali hai curiosato guardandoli, soppesandoli, sfogliandoli, spigolando or qua or là, annusandone le pagine addirittura. Se non sei onesto mentirai e, affidandoti all’intuito alimentato dai risvolti di copertina, dalle prefazioni, da qualche riga rubacchiata spulciando o alla pura congettura sorretta da una buona dose di fortuna e dall’esperienza stagionata del lettore abituale. Se sei onesto basterà raccontare le ragioni che ti hanno spinto a comprare e ti muoveranno a leggere il libro compresa quella che stimi l’autore per precedenti incontri letterari o per pregressi successi ai tuoi occhi e per il tuo gusto. Intanto potrai azzardare una profezia, un presentimento e spingerai gli uditori a leggere il romanzo (sto parlando di un romanzo) dando loro un appuntamento per parlarne diffusamente a lettura compiuta in un bel simposio.
In questo caso mi azzardo a parlare di “Sussurri dal tempo” di Giorgio Astolfi (Spunto Edizioni, la benemerita casa editrice) perché lo sto leggendo. E mi piace. Mi piace a cominciare dalla sfida civilissima dell’autore che consiste nell’ambientare intenzionalmente la storia in un paese della Basilicata che, per turpi e stupide ragioni porterebbe male, avrebbe la patente di iettatore. Ma questo sarebbe solo uno spunto di curiosità antropologica. Il fatto è che il libro avvince per la storia che narra, convince per la scrittura ariosamente limpida in un Italiano schietto e ordinato: una lingua che riconcilia con le doverose e numerose citazioni storiche e di cronaca giornalistica, visto che narra con onestà e compiutezza documentaria una vicenda ambientata nella storia d’Italia e di Europa seguendo le vite di donne che, tutte, sembrano, rivendicare giustizia per quelle che hanno sofferto nel passato, penano nel presente, rischiano di dover piangere ancora domani.
E quel paese minuscolo e perseguitato dalla stupidità sociale, unico personaggio tra i tanti inventati che è vivo, vegeto e vero, è riscattato dalla letteratura. “Sussurri dal tempo”, dunque, mi sta piacendo perché mi avvince e mi incuriosisce attendere lo sviluppo della vicenda, il “plot” diranno gli sceneggiatori del film che non potrà non girarsi. E, poi, c’è una terza ragione per la quale finirò di leggere questo libro: Giorgio Astolfi è amico mio.
Michele Mirabella