INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTORE DI IL CONFINE DELLA FELICITA'
Buongiorno signor Tozzi, quando e perché ha iniziato a scrivere?
Ho iniziato a scrivere quando ho pensato, da accanito lettore di libri, passione che coltivo sino da ragazzino, di tentare di cimentarmi, con molta modestia, con episodi della vita, in molti dei quali sono stato testimone, nella convinzione che la vita stessa è fatta del nostro personale vissuto e che anche per il tramite della narrativa in molti personaggi si conservino, in misura più o meno accentuata, ricordi ed esperienze sia negative sia positive; una forma di indagine psicologica perché la letteratura è anche questo: il leggere, come lo scrivere, una specie di cura della mente e, perché no, anche del proprio corpo, della propria persona, oltre che un elevato piacere. Quando sono chiamato a fare il relatore in una conferenza non perdo mai l’occasione di dare il mio modesto consiglio di leggere libri, magari, chiedendo scusa a coloro che mi ascoltano, di essere andato un pochino fuori tema.
Da quanto scrive?
Da sette anni. Il mio primo libro è uscito nel 2009.
Come è nata l'idea di scrivere Il confine della felicità?
Dal voler affrontare una trama incentrata sugli aspetti caratteriali e psicologici dei protagonisti che affrontano la vita avendo nell’animo il sentimento della speranza e della gioia di vivere e propensi alla ricerca del buon umore anche quando i momenti della loro vita, per alcuni, non sono dei migliori. Se il raggiungimento della totale felicità è forse impossibile cerchiamo almeno di arrivare ai suoi confini. E’ questo uno dei principali aspetti del romanzo al quale si ispirano i protagonisti.
Ci può descrivere in poche parole cosa è per lei la felicità?
Bella domanda questa! Il mio professore di lettere, citando Buddha, diceva che la felicità consiste nel non desiderare, quando qualche romantica mia compagna di scuola gli domandava che cosa pensasse della felicità. E aggiungeva che Buddha era anche un grande poeta. Questo mio bravo insegnante forse voleva dire, con questa citazione, alla ragazza e a tutti noi, che non bisogna desiderare troppo dalla vita per avere meno disillusioni e per non recare danni a noi stessi e ai nostri simili. Personalmente ritengo che la felicità consista nella ammirazione di cose semplici: la bellezza di un panorama, di un paesaggio, il piacere di leggere un buon libro, l’ascolto di una bella musica di qualsiasi genere, il sorriso di un bambino in una giornata che riteniamo negativa e soprattutto di non prendersi troppo sul serio un po’ come fanno i personaggi di questo mio libro.
Come mai ha deciso di ambientare la storia negli anni sessanta?
Perché, visti alla luce della realtà attuale, erano anni di speranza. C’erano molte più possibilità per i giovani di trovare un lavoro e quindi l’opportunità di vivere una vita migliore. Una tendenza a guardare al futuro con maggiore serenità dopo i sacrifici degli anni del dopoguerra e della generazione dei padri. Un progressivo ammodernamento dei costumi, il graduale riappropriarsi dei giovani, e delle donne in maniera particolare, di spazi di maggiore libertà individuale, nuove tendenze nella musica, nel cinema, negli svaghi che hanno aperto ad una nuova stagione.
L'idea di inserire nella storia un piccolo giallo è nata fin da subito o mentre scriveva il romanzo?
Nello scrivere il romanzo perché la vita di Andrea e la sua psicologia gli avrebbe fatto incontrare, quasi fatalmente, una donna con delle problematiche interiori affini alle sue che la condussero ad essere ingiustamente incolpata di un delitto.
A quale personaggio è più affezionato? Perché?
Ad Andrea perché l’autore, come ho già detto, descrive sempre un personaggio che in qualche modo rispecchia la sua personalità e il suo vissuto.
Quali opere letterarie o autori hanno influenzato la sua scrittura ?
Fra gli autori del passato Dostoevskij da “Le Notti Bianche” a “ I Fratelli Karamazov”, la letteratura francese: Flaubert, Hugo, Zola, Maupassant, e poi Marguerite Yourcenar, di quest’ultima “Memorie di Adriano” lo ritengo un libro bellissimo. Ma sono stato influenzato anche da autori italiani: Tutte le opere di Leopardi, Carlo Levi con il suo “Cristo si è fermato a Eboli”, Tomasi di Lampedusa con “Il Gattopardo”, De Roberto con “I Viceré”. Fra gli autori attuali Philip Roth: “Pastorale Americana”, “Indignazione”, “Nemesi” e, per passare ad un genere che spazia dal reale all’onirico, Murakami: “Kafka sulla spiaggia”, “Norwegian Wood”, “1Q84”. Ultimamente ho letto “La Moglie”, il recente romanzo della scrittrice Jhumpa Lahiri che mi è piaciuto molto e infine mi piace citare “Sussurri dal tempo” di Giorgio Astolfi edito proprio dalla vostra casa editrice, opera molto bella.
Quando preferisce scrivere, ha un luogo particolare, un metodo che segue ogni volta?
Quando mi viene in mente un fatto che suscitò il mio interesse.
Il luogo è la stanza del mio studio dove cerco di trovare maggiore silenzio. Il metodo è quello un po’ desueto di scrivere prima degli appunti, poi il testo manualmente ed infine di batterlo al computer dove incorro quasi sempre in errori di battitura che il malcapitato editore deve pazientemente correggere. E’ un “difetto” che non mi perdono facilmente.
Se dovesse dare un consiglio ad un autore che si appresta a scrivere il suo primo libro?
Di affrontare la scrittura con molta modestia ed in punta di piedi. E di pensare che c’è sempre in giro qualcuno molto più bravo dal quale imparare.
Buongiorno signor Tozzi, quando e perché ha iniziato a scrivere?
Ho iniziato a scrivere quando ho pensato, da accanito lettore di libri, passione che coltivo sino da ragazzino, di tentare di cimentarmi, con molta modestia, con episodi della vita, in molti dei quali sono stato testimone, nella convinzione che la vita stessa è fatta del nostro personale vissuto e che anche per il tramite della narrativa in molti personaggi si conservino, in misura più o meno accentuata, ricordi ed esperienze sia negative sia positive; una forma di indagine psicologica perché la letteratura è anche questo: il leggere, come lo scrivere, una specie di cura della mente e, perché no, anche del proprio corpo, della propria persona, oltre che un elevato piacere. Quando sono chiamato a fare il relatore in una conferenza non perdo mai l’occasione di dare il mio modesto consiglio di leggere libri, magari, chiedendo scusa a coloro che mi ascoltano, di essere andato un pochino fuori tema.
Da quanto scrive?
Da sette anni. Il mio primo libro è uscito nel 2009.
Come è nata l'idea di scrivere Il confine della felicità?
Dal voler affrontare una trama incentrata sugli aspetti caratteriali e psicologici dei protagonisti che affrontano la vita avendo nell’animo il sentimento della speranza e della gioia di vivere e propensi alla ricerca del buon umore anche quando i momenti della loro vita, per alcuni, non sono dei migliori. Se il raggiungimento della totale felicità è forse impossibile cerchiamo almeno di arrivare ai suoi confini. E’ questo uno dei principali aspetti del romanzo al quale si ispirano i protagonisti.
Ci può descrivere in poche parole cosa è per lei la felicità?
Bella domanda questa! Il mio professore di lettere, citando Buddha, diceva che la felicità consiste nel non desiderare, quando qualche romantica mia compagna di scuola gli domandava che cosa pensasse della felicità. E aggiungeva che Buddha era anche un grande poeta. Questo mio bravo insegnante forse voleva dire, con questa citazione, alla ragazza e a tutti noi, che non bisogna desiderare troppo dalla vita per avere meno disillusioni e per non recare danni a noi stessi e ai nostri simili. Personalmente ritengo che la felicità consista nella ammirazione di cose semplici: la bellezza di un panorama, di un paesaggio, il piacere di leggere un buon libro, l’ascolto di una bella musica di qualsiasi genere, il sorriso di un bambino in una giornata che riteniamo negativa e soprattutto di non prendersi troppo sul serio un po’ come fanno i personaggi di questo mio libro.
Come mai ha deciso di ambientare la storia negli anni sessanta?
Perché, visti alla luce della realtà attuale, erano anni di speranza. C’erano molte più possibilità per i giovani di trovare un lavoro e quindi l’opportunità di vivere una vita migliore. Una tendenza a guardare al futuro con maggiore serenità dopo i sacrifici degli anni del dopoguerra e della generazione dei padri. Un progressivo ammodernamento dei costumi, il graduale riappropriarsi dei giovani, e delle donne in maniera particolare, di spazi di maggiore libertà individuale, nuove tendenze nella musica, nel cinema, negli svaghi che hanno aperto ad una nuova stagione.
L'idea di inserire nella storia un piccolo giallo è nata fin da subito o mentre scriveva il romanzo?
Nello scrivere il romanzo perché la vita di Andrea e la sua psicologia gli avrebbe fatto incontrare, quasi fatalmente, una donna con delle problematiche interiori affini alle sue che la condussero ad essere ingiustamente incolpata di un delitto.
A quale personaggio è più affezionato? Perché?
Ad Andrea perché l’autore, come ho già detto, descrive sempre un personaggio che in qualche modo rispecchia la sua personalità e il suo vissuto.
Quali opere letterarie o autori hanno influenzato la sua scrittura ?
Fra gli autori del passato Dostoevskij da “Le Notti Bianche” a “ I Fratelli Karamazov”, la letteratura francese: Flaubert, Hugo, Zola, Maupassant, e poi Marguerite Yourcenar, di quest’ultima “Memorie di Adriano” lo ritengo un libro bellissimo. Ma sono stato influenzato anche da autori italiani: Tutte le opere di Leopardi, Carlo Levi con il suo “Cristo si è fermato a Eboli”, Tomasi di Lampedusa con “Il Gattopardo”, De Roberto con “I Viceré”. Fra gli autori attuali Philip Roth: “Pastorale Americana”, “Indignazione”, “Nemesi” e, per passare ad un genere che spazia dal reale all’onirico, Murakami: “Kafka sulla spiaggia”, “Norwegian Wood”, “1Q84”. Ultimamente ho letto “La Moglie”, il recente romanzo della scrittrice Jhumpa Lahiri che mi è piaciuto molto e infine mi piace citare “Sussurri dal tempo” di Giorgio Astolfi edito proprio dalla vostra casa editrice, opera molto bella.
Quando preferisce scrivere, ha un luogo particolare, un metodo che segue ogni volta?
Quando mi viene in mente un fatto che suscitò il mio interesse.
Il luogo è la stanza del mio studio dove cerco di trovare maggiore silenzio. Il metodo è quello un po’ desueto di scrivere prima degli appunti, poi il testo manualmente ed infine di batterlo al computer dove incorro quasi sempre in errori di battitura che il malcapitato editore deve pazientemente correggere. E’ un “difetto” che non mi perdono facilmente.
Se dovesse dare un consiglio ad un autore che si appresta a scrivere il suo primo libro?
Di affrontare la scrittura con molta modestia ed in punta di piedi. E di pensare che c’è sempre in giro qualcuno molto più bravo dal quale imparare.