INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTORE DI LO SGUARDO OLTRE LE VETTE
Ciao Marco, dopo Il mistero della montagna eccoci al tuo nuovo romanzo Lo sguardo oltre le vette che ci riporta a esplorare i monti. Ancora siamo in Valle di Lanzo. Ci vuoi parlare del tuo legame con questa parte delle Alpi e di queste zone in particolare?
Certamente. Amo tutte le montagne perché sono cresciuto in Val di Susa e ne ho girate parecchie fin da bambino, ma trovo che nessun luogo come le Valli di Lanzo offra la possibilità di un incontro genuino e vero con gli aspetti più selvaggi della montagna. Non è solo questione di mancanza di infrastrutture, anche se è innegabile che qui i segni dell’antropizzazione si notano meno. C’è qualcosa tra i ripidi fianchi di queste valli, un cuore magico che ti trasporta fuori dai confini del tempo, mettendoti a nudo di fronte ai tuoi limiti. Signore silenziose, dominano da vicino più di ogni altra la città di Torino, eppure sono un mondo a parte, staccato e misterioso. È una montagna povera che non fa sconti e non regala nulla e forse è per questo che i suoi abitanti così rustici mantengono una parlata che in molti altri luoghi della nostra regione è andata perduta, che continuano a vivere seguendo ritmi e rituali di cui resta poca traccia altrove. Forse è per questa sua durezza un po’ spaventosa per l’Uomo che gli animali selvatici ci si trovano tanto bene e prosperano.
Con la loro posizione a due passi dalla città e per un clima tutto particolare, le Valli di Lanzo sono un angolo privilegiato delle nostre montagne che va tutelato, ma stanno attraversando anche un periodo di grande disagio: la popolazione invecchia e la gestione della cosa pubblica è ogni giorno più latente. Le scuole chiudono, le attività vengono dismesse e le strade si rovinano. Bisogna scongiurare a tutti i costi il pericolo dell’abbandono e bisogna al tempo stesso vigilare che processi speculativi (che fanno tanto gola) non rovinino quell'equilibrio delicato che oggi permette la quieta convivenza di animali selvatici, domestici e dei rustici abitanti delle Valli di Viù, Balme e Chialamberto.
La struttura e il genere di questo romanzo sono molto diversi dal precedente. Qui si parla di un uomo, del suo legame con la natura attraverso degli episodi della sua vita, delineando in modo puntuale l’Uomo della Montagna. Come è nata questa costruzione e questa idea?
È nata dal fatto che negli ultimi anni avevo scritto tanti racconti che parlavano della montagna e dei suoi abitanti e mi sono reso conto che, pur inconsciamente, essi seguivano un filo conduttore unico che li legava tutti in una storia coerente. A questo punto mi sembrava giusto riunirli in un unico progetto. Alcuni li avevo scritti già mentre lavoravo a Il mistero della montagna per partecipare ai concorsi letterari, altri li avevo mandati all'amico Danilo Liboi per le sue riviste. A questi ne ho aggiunto un buon numero che mi sono serviti da legante, per amalgamare tutto insieme. È stato un lavoro divertente e molto diverso dal mio solito modo di narrare.
Anche più introspettivo, perché c’è molto di me e della mia formazione nelle figure dei montanari che ho descritto: ci sono scene che ho vissuto sulla mia pelle ed episodi di cui ho udito parlare quando ero ragazzino. Credo ne sia emerso un punto di vista insolito perché non vivo mai la montagna come un turista e men che meno come un fruitore. Sono una parte molto piccola e temporanea di essa.
Curiosità: come mai hai scelto il nome insolito di Garibaldi per il protagonista?
Mi piaceva molto perché era il nome del nonno di mia moglie e quindi lo collegavo immediatamente all'idea di un uomo molto anziano, di un nonno appunto. E i primissimi racconti che ho scritto su questo personaggio sono proprio gli ultimi, quelli in cui lui è vecchio e vive in prospettiva di una fine imminente. La gente ha paura di quella fase della vita, siamo ossessionati dal tempo che scorre e ci porta via. Garibaldi è un vecchiotto tutto d’un pezzo: sa di non poter arrestare il fiume che scorre, ma è ben deciso ad assaporare tutto il gusto dell’esistenza, fino all'ultimo istante. È il nonno che vorrei tanto diventare.
Altra curiosità: il bar, in cui sono ambientati diversi racconti, esiste davvero?
Certo, è il Bar della Pace di Forno di Lemie. Quando ci sono entrato la prima volta, molto tempo fa, la proprietaria era Felicina. L’amico Mini ci faceva una capatina quotidiana e Bruno e Michelangelo andavano a giocarci a tarocchi. Oggi lo gestiscono la figlia Elvira insieme ad Ignazio e Davide e molti dei vecchi frequentatori non ci sono più, ma il locale un po’ rinnovato è diventato il fulcro della vita sociale di quel piccolo paese.
Ancora: Mach è un personaggio il cui nome compare anche nel tuo romanzo La saga oscura ce ne vuoi parlare?
È sempre lo stesso personaggio o è solo una questione di nome?
Sì, è sempre lui. Mach è il soprannome che ho dato a mio cognato quando eravamo ragazzi. Nel mio primo romanzo ci è cascato per forza dal momento che i protagonisti erano tutti miei amici, ma anche nei racconti successivi è rimasto coinvolto. Lui è il mio fido accompagnatore in tutte le più belle avventure che ho vissuto in montagna e mi viene naturale identificarlo come personaggio principale o come spalla. È una persona genuina a cui piace sperimentare cose nuove ed è anche molto coraggioso. Mi piace vedere la montagna attraverso i suoi occhi
Le montagne e tutto ciò che in esse vive vanno ascoltate e osservate perché hanno molto da insegnare. Quando comincia questo tuo amore e la profonda conoscenza che hai della natura? Quando ti sei accorto che la montagna stava forgiandoti e ti faceva scoprire chi sei?
Nell'adolescenza, credo. Mio padre, al pari del Garibaldi della storia, era un grande appassionato di montagna: aveva cominciato con la caccia, come succedeva spesso nel dopoguerra alla gente in quegli anni, ma seguendo galli e camosci sulle rupi aveva finito per frequentarla a tutto tondo, persino più di me. Trote, funghi, neve, rocce, ghiacciai e minerali, tutto ciò che c’era sotto e sopra le fronde dei faggi attirava irresistibilmente la sua attenzione ed io nei primi anni della mia vita ero sempre attaccato alle sue ginocchia, sci, doppietta o motosega a portata di mano. Sono cresciuto tra le felci e i rododendri proprio come un piccolo di capriolo e la montagna mi è entrata dentro. Quando sono stato più grandicello ho cominciato a farmi delle domande sul senso della vita e ancora una volta dalla montagna ho tratto le risposte perché mentre gli amici e uomini grandi cambiavano, mutavano opinione e tornavano sui loro passi a seconda delle necessità, tra le rocce e nella foresta imparavo lezioni che restavano. La montagna mi insegnava. Scarpinando sui ripidi sentieri sopra il caseggiato di Chialamberto ho cominciato ad innamorarmi di essa, ad intuire la necessità di proteggerla e conservarla, non con parole di facciata o un ambientalismo fasullo, ma vivendola come si deve. Il mistero della montagna stava germogliando ed ero ancora poco più che un bambino. A prima vista potrebbe non sembrare, ma se uno li legge con attenzione scoprirà che, pur in forme e generi diversi, i miei ultimi due libri sono profondamente legati.
In questo libro ci sono molte illustrazioni fatte a mano libera da te? Non ti conoscevamo anche sotto la veste di disegnatore. Vuoi raccontarci qualcosa?
Ho sempre sognato di diventare un pittore, ancor prima di mettermi a scrivere. Poi, col tempo, ho messo da parte questa passione. Non si può fare tutto e non ho trovato il modo di curare a dovere anche la pittura. Qualche disegno in bianco e nero tuttavia mi piace farlo di tanto in tanto, così come amo incidere piccole illustrazioni sul legno col pirografo. E in un libro come questo mi andava proprio di inserire qualche immagine degli animali che ne sono protagonisti, con lo sfondo di vette note che qualcuno potrà divertirsi a riconoscere.
Grazie per questo nuovo romanzo così coinvolgente che permette a ogni lettore di essere sui monti e tra i boschi riuscendo quasi a sentirne il profumo.
Hai altri progetti in lavorazione?
Qualcosina! Ho un sacco di materiale già scritto che vorrei evitare ammuffisse nei cassetti e anche altro dentro la testa che bussa per uscire all'aperto. Ma vorrei tornare a dedicarmi un po’ alla narrazione fantastica perché alla fine è quella che mi piace maggiormente e anche quella attraverso cui riesco a esprimere i concetti più profondi. Commettiamo spesso l’errore di ritenere il racconto d’immaginazione come qualcosa di prettamente adatto alla letteratura per fanciulli. Non è così. Il romanzo d’avventura parla attraverso un linguaggio universale che non è fatto di sole parole; permette di guardare in faccia aspetti della vita che altrimenti sarebbero troppo duri da mandare giù; consente di trattare argomenti seri e importanti senza correre il rischio di annoiare o cadere nella cronaca. Qualche volta anche di lottare per le cose giuste e sognare un mondo migliore. Sì, credo che presto tornerò a quello e sono sicuro che ancora una volta la Montagna mi accompagnerà, ispirando le mie parole.
Ciao Marco, dopo Il mistero della montagna eccoci al tuo nuovo romanzo Lo sguardo oltre le vette che ci riporta a esplorare i monti. Ancora siamo in Valle di Lanzo. Ci vuoi parlare del tuo legame con questa parte delle Alpi e di queste zone in particolare?
Certamente. Amo tutte le montagne perché sono cresciuto in Val di Susa e ne ho girate parecchie fin da bambino, ma trovo che nessun luogo come le Valli di Lanzo offra la possibilità di un incontro genuino e vero con gli aspetti più selvaggi della montagna. Non è solo questione di mancanza di infrastrutture, anche se è innegabile che qui i segni dell’antropizzazione si notano meno. C’è qualcosa tra i ripidi fianchi di queste valli, un cuore magico che ti trasporta fuori dai confini del tempo, mettendoti a nudo di fronte ai tuoi limiti. Signore silenziose, dominano da vicino più di ogni altra la città di Torino, eppure sono un mondo a parte, staccato e misterioso. È una montagna povera che non fa sconti e non regala nulla e forse è per questo che i suoi abitanti così rustici mantengono una parlata che in molti altri luoghi della nostra regione è andata perduta, che continuano a vivere seguendo ritmi e rituali di cui resta poca traccia altrove. Forse è per questa sua durezza un po’ spaventosa per l’Uomo che gli animali selvatici ci si trovano tanto bene e prosperano.
Con la loro posizione a due passi dalla città e per un clima tutto particolare, le Valli di Lanzo sono un angolo privilegiato delle nostre montagne che va tutelato, ma stanno attraversando anche un periodo di grande disagio: la popolazione invecchia e la gestione della cosa pubblica è ogni giorno più latente. Le scuole chiudono, le attività vengono dismesse e le strade si rovinano. Bisogna scongiurare a tutti i costi il pericolo dell’abbandono e bisogna al tempo stesso vigilare che processi speculativi (che fanno tanto gola) non rovinino quell'equilibrio delicato che oggi permette la quieta convivenza di animali selvatici, domestici e dei rustici abitanti delle Valli di Viù, Balme e Chialamberto.
La struttura e il genere di questo romanzo sono molto diversi dal precedente. Qui si parla di un uomo, del suo legame con la natura attraverso degli episodi della sua vita, delineando in modo puntuale l’Uomo della Montagna. Come è nata questa costruzione e questa idea?
È nata dal fatto che negli ultimi anni avevo scritto tanti racconti che parlavano della montagna e dei suoi abitanti e mi sono reso conto che, pur inconsciamente, essi seguivano un filo conduttore unico che li legava tutti in una storia coerente. A questo punto mi sembrava giusto riunirli in un unico progetto. Alcuni li avevo scritti già mentre lavoravo a Il mistero della montagna per partecipare ai concorsi letterari, altri li avevo mandati all'amico Danilo Liboi per le sue riviste. A questi ne ho aggiunto un buon numero che mi sono serviti da legante, per amalgamare tutto insieme. È stato un lavoro divertente e molto diverso dal mio solito modo di narrare.
Anche più introspettivo, perché c’è molto di me e della mia formazione nelle figure dei montanari che ho descritto: ci sono scene che ho vissuto sulla mia pelle ed episodi di cui ho udito parlare quando ero ragazzino. Credo ne sia emerso un punto di vista insolito perché non vivo mai la montagna come un turista e men che meno come un fruitore. Sono una parte molto piccola e temporanea di essa.
Curiosità: come mai hai scelto il nome insolito di Garibaldi per il protagonista?
Mi piaceva molto perché era il nome del nonno di mia moglie e quindi lo collegavo immediatamente all'idea di un uomo molto anziano, di un nonno appunto. E i primissimi racconti che ho scritto su questo personaggio sono proprio gli ultimi, quelli in cui lui è vecchio e vive in prospettiva di una fine imminente. La gente ha paura di quella fase della vita, siamo ossessionati dal tempo che scorre e ci porta via. Garibaldi è un vecchiotto tutto d’un pezzo: sa di non poter arrestare il fiume che scorre, ma è ben deciso ad assaporare tutto il gusto dell’esistenza, fino all'ultimo istante. È il nonno che vorrei tanto diventare.
Altra curiosità: il bar, in cui sono ambientati diversi racconti, esiste davvero?
Certo, è il Bar della Pace di Forno di Lemie. Quando ci sono entrato la prima volta, molto tempo fa, la proprietaria era Felicina. L’amico Mini ci faceva una capatina quotidiana e Bruno e Michelangelo andavano a giocarci a tarocchi. Oggi lo gestiscono la figlia Elvira insieme ad Ignazio e Davide e molti dei vecchi frequentatori non ci sono più, ma il locale un po’ rinnovato è diventato il fulcro della vita sociale di quel piccolo paese.
Ancora: Mach è un personaggio il cui nome compare anche nel tuo romanzo La saga oscura ce ne vuoi parlare?
È sempre lo stesso personaggio o è solo una questione di nome?
Sì, è sempre lui. Mach è il soprannome che ho dato a mio cognato quando eravamo ragazzi. Nel mio primo romanzo ci è cascato per forza dal momento che i protagonisti erano tutti miei amici, ma anche nei racconti successivi è rimasto coinvolto. Lui è il mio fido accompagnatore in tutte le più belle avventure che ho vissuto in montagna e mi viene naturale identificarlo come personaggio principale o come spalla. È una persona genuina a cui piace sperimentare cose nuove ed è anche molto coraggioso. Mi piace vedere la montagna attraverso i suoi occhi
Le montagne e tutto ciò che in esse vive vanno ascoltate e osservate perché hanno molto da insegnare. Quando comincia questo tuo amore e la profonda conoscenza che hai della natura? Quando ti sei accorto che la montagna stava forgiandoti e ti faceva scoprire chi sei?
Nell'adolescenza, credo. Mio padre, al pari del Garibaldi della storia, era un grande appassionato di montagna: aveva cominciato con la caccia, come succedeva spesso nel dopoguerra alla gente in quegli anni, ma seguendo galli e camosci sulle rupi aveva finito per frequentarla a tutto tondo, persino più di me. Trote, funghi, neve, rocce, ghiacciai e minerali, tutto ciò che c’era sotto e sopra le fronde dei faggi attirava irresistibilmente la sua attenzione ed io nei primi anni della mia vita ero sempre attaccato alle sue ginocchia, sci, doppietta o motosega a portata di mano. Sono cresciuto tra le felci e i rododendri proprio come un piccolo di capriolo e la montagna mi è entrata dentro. Quando sono stato più grandicello ho cominciato a farmi delle domande sul senso della vita e ancora una volta dalla montagna ho tratto le risposte perché mentre gli amici e uomini grandi cambiavano, mutavano opinione e tornavano sui loro passi a seconda delle necessità, tra le rocce e nella foresta imparavo lezioni che restavano. La montagna mi insegnava. Scarpinando sui ripidi sentieri sopra il caseggiato di Chialamberto ho cominciato ad innamorarmi di essa, ad intuire la necessità di proteggerla e conservarla, non con parole di facciata o un ambientalismo fasullo, ma vivendola come si deve. Il mistero della montagna stava germogliando ed ero ancora poco più che un bambino. A prima vista potrebbe non sembrare, ma se uno li legge con attenzione scoprirà che, pur in forme e generi diversi, i miei ultimi due libri sono profondamente legati.
In questo libro ci sono molte illustrazioni fatte a mano libera da te? Non ti conoscevamo anche sotto la veste di disegnatore. Vuoi raccontarci qualcosa?
Ho sempre sognato di diventare un pittore, ancor prima di mettermi a scrivere. Poi, col tempo, ho messo da parte questa passione. Non si può fare tutto e non ho trovato il modo di curare a dovere anche la pittura. Qualche disegno in bianco e nero tuttavia mi piace farlo di tanto in tanto, così come amo incidere piccole illustrazioni sul legno col pirografo. E in un libro come questo mi andava proprio di inserire qualche immagine degli animali che ne sono protagonisti, con lo sfondo di vette note che qualcuno potrà divertirsi a riconoscere.
Grazie per questo nuovo romanzo così coinvolgente che permette a ogni lettore di essere sui monti e tra i boschi riuscendo quasi a sentirne il profumo.
Hai altri progetti in lavorazione?
Qualcosina! Ho un sacco di materiale già scritto che vorrei evitare ammuffisse nei cassetti e anche altro dentro la testa che bussa per uscire all'aperto. Ma vorrei tornare a dedicarmi un po’ alla narrazione fantastica perché alla fine è quella che mi piace maggiormente e anche quella attraverso cui riesco a esprimere i concetti più profondi. Commettiamo spesso l’errore di ritenere il racconto d’immaginazione come qualcosa di prettamente adatto alla letteratura per fanciulli. Non è così. Il romanzo d’avventura parla attraverso un linguaggio universale che non è fatto di sole parole; permette di guardare in faccia aspetti della vita che altrimenti sarebbero troppo duri da mandare giù; consente di trattare argomenti seri e importanti senza correre il rischio di annoiare o cadere nella cronaca. Qualche volta anche di lottare per le cose giuste e sognare un mondo migliore. Sì, credo che presto tornerò a quello e sono sicuro che ancora una volta la Montagna mi accompagnerà, ispirando le mie parole.