INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTRICE DI IL SUONO DELLE ALI
Ciao Alice, com’è nata la storia di Il suono delle ali?
Ho accudito per anni una mia cavalla affetta da una malattia autoimmune rarissima, doveva stare sotto flebo per ore e ore. In quei momenti la osservavo e lei osservava me. Un giorno ho deciso di scrivere mentre passavo il tempo accanto a lei... devo confessare che mi ha suggerito parecchie frasi.
Come mai hai scelto questo tipo di narrazione fantastica?
Perché con la fantasia si possono esternare molte più idee che non calandole nella realtà e lo si può fare trasmettendole con facilità. Si può esprimere ciò che si ha dentro attraverso i simboli e in un simbolo solo possiamo racchiudere molti significati, di conseguenza molte emozioni, anche a seconda delle sfaccettature di quello stesso simbolo. È un concetto antico come quello che ha dato origine alle fiabe, credo.
Nel tuo libro gli animali sono fondamentali. Com’è nato e si è sviluppato il tuo amore per loro?
Quando avevo tre anni il pastore tedesco femmina di casa mi faceva giocare a nascondino e, ancora più piccola, avevo sempre un gattino da coccolare. Era un rapporto paritetico fra cuccioli e di comprensione assoluta... specialmente degli animali nei miei confronti.
Ringrazio i miei genitori per avermelo permesso. In seguito, e fino a oggi, non ricordo lunghi momenti passati senza un animale accanto. Ma non si tratta solo di abitudini e di affetto. Penso che gli animali siano talismani viventi al nostro fianco. Custodiscono il nostro passato di umani con magica e gratuita dedizione, tanto che i loro sguardi limpidi ci ricordano sempre chi siamo veramente. Nondimeno ci scortano verso l'ignoto, con silenziosa e amorevole devozione.
C’è un motivo per cui la protagonista si chiama Irene?
Sí. Irene deriva dal greco Eirene, il nome della dea della pace. E pur con tutte le sue umane e divine contraddizioni penso che la mia Irene sia un personaggio di pace.
Qual è il personaggio secondario che hai amato di più?
È una scelta difficile da fare, sono tutti fondamentali nella mia immaginazione, soprattutto ogni magico animale con il suo ruolo. Ma voglio dare spazio anche agli umani e scelgo Diana. Il suo tormento mi ha accompagnata per molto tempo, perché Diana è solo apparentemente un personaggio semplice. La complessità del suo travaglio psicologico la rende l'eroina più umana, meno fantasiosa e meno perfetta della storia. Diana è invischiata nella cruda realtà e non può volare. È stato complicato cercare di descrivere adeguatamente le sue emozioni, ma nello stesso tempo molto stimolante. Spero di esserci riuscita.
La figura di Moàn è molto affascinate, com’è nata l’idea di crearlo?
Devo gran parte della mia creatività alla Meditazione Trascendentale. Questa pratica, in alcuni paesi, si insegna anche nelle scuole e ci sono numerosi studi che dimostrano i suoi benefici a livello psicofisico, in particolare per ciò che riguarda la corteccia prefrontale del cervello. Gli effetti positivi si riscontrano in tutti gli ambiti lavorativi e artistici, perché stimola proprio la creatività. Senza scendere in dettagli tecnici, posso dire che la MT può essere un aiuto per ogni scrittore.
Pesco i miei personaggi in una zona inconscia, inizialmente i loro contorni sono sbiaditi poi si definiscono scrivendo, senza nessuna premeditazione. Moàn è nato così e lo stesso vale per la trama che porta con sé. Solo in seguito ho razionalizzato la sua figura, e ho riconosciuto in lui un'eco della mitologia Rapa Nui a cui mi ero interessata da adolescente.
Arnold è il personaggio che più mi ha colpito in tutta la storia, silenzioso e forte come pochi esseri umani sanno essere. Ci vuoi parlare di lui?
Arnold porta su di sé il peso del mondo. Se fosse una divinità sarebbe Zeus, ma è un uomo e il suo fardello è grande. La sua purezza e sensibilità lo rendono sapiente. È colui che sa, che ha già visto troppe cose, ogni ruga è un segno di vera conoscenza. Ma vedere può essere traumatizzante ed è per questo che la sua mente lambisce spesso il confine sottile della follia.
Sono riuscita a ripagare solo in parte il suo grande sacrificio nel finale, ma credo che per quelli come lui sia inevitabile.
Il tuo romanzo si può anche definire di formazione. La ricerca di se stessi può avvenire in tanti modi diversi, ci vuoi parlare dei tuoi?
Credo che il modo migliore di trovare se stessi sia quello di inseguire le proprie passioni a ogni costo, anche a caro prezzo, e nel farlo bisogna perseverare nella ricerca del bello, così come un segugio segue una traccia odorosa, a volte labile a volte più intensa e irresistibile. Può essere molto faticoso, ma solo così troviamo noi stessi, cercando il bello fuori e dentro di noi.
Un cavallo che corre in un prato è sublime bellezza e i cavalli mi hanno donato tanto, insegnandomi molte cose su me stessa.
Poi c'è la musica, nel mio caso lo strumento del violoncello. Sono cresciuta con un sottofondo musicale grazie a mio padre. Con la sua forza rigenerativa, la musica ha il potere di smuovere, riciclare e trasformare le emozioni in profondità, e lo fa in un modo che non riesco a definire se non come infinito. È per me uno dei più grandi strumenti di auto psicoanalisi che esistano, oltre che un potente anestetico contro tutte le tipologie di dolore. Contrindicazioni pressoché nulle. È un'alleata nel cammino della vita e nella ricerca di sé. Per questo nel mio romanzo il suono ha un ruolo così importante.
Infine non posso non citare ancora la Meditazione Trascendentale che mi ha reso migliore, capace di affrontare situazioni difficili, e mi ha permesso di apprezzare la sensazione di essere immersa nel tutto, in una realtà che scorre velocemente, a cui bisogna adattarsi di continuo senza farsi travolgere dalle correnti.
Ci sono molti riferimenti ad altri romanzi più o meno velati, quanta influenza ha avuto la letteratura nella tua vita? Quali autori ami leggere?
Sí, la letteratura e anche il cinema, direi, mi hanno sempre influenzato sia per il tipo di scuola che ho fatto, sia per l'ambiente familiare in cui ho vissuto.
Alice Nel Paese delle Meraviglie è in testa. Sicuramente ci sono i classici del liceo, come l'Iliade, l'Odissea e il mito platonico. Ma nella mia infanzia ci sono state le fiabe a condizionarmi: Hansel e Gretel, Barbablú, Peter Pan e Robyn Hood.... Poi, a tredici anni, mia madre mi ha messo fra le mani una copia de L'isola di Arturo di Elsa Morante . Mi sono inabissata per giorni... Ho riso e pianto, ma soprattutto ho imparato ad apprezzare la ricerca della bellezza. Fra i miei autori preferiti c'è poi Jack London, Zanna Bianca in particolare, di cui ancora oggi vado talvolta a rileggere l'incipit: la descrizione suadente e personificata del 'Wild' , così potente, rivelatrice di quella profonda semplicità che hanno solo i più grandi autori. Fra i più amati c'è anche Marquez con Cent'anni di Solitudine e il suo realismo magico. Poi Isabel Allende. Sicuramente Camilleri. L'eleganza del riccio di Muriel Barbery: pensare che il pensiero di una donna prima di morire sia rivolto all'amato gatto è una cosa che sento vicina.
Apprezzo anche i libri fantasy d'oltre oceano, e i romanzi di fantasia o simbolico psicologici sono i miei preferiti. Penso al Visconte Dimezzato di Calvino o ad alcuni racconti di Buzzati come Una goccia, che adoro. Ma ultimamente ho riletto testi di Elena Ferrante e con molto piacere Delitto e castigo di Dostoevskij. Insomma sono eclettica, se un libro dà emozione è un bel libro, e soprattutto ti arricchisce sempre con una piccola o grande lezione di vita da immagazzinare. La letteratura ci insegna a vivere, sicuramente.
Quale messaggio vuoi lasciare con questo romanzo?
Vorrei lasciare un messaggio positivo, di fiducia nelle potenzialità dell'uomo, nella sua mente capace di espandersi, evolvere e correggersi oltre ogni immaginazione possibile. È ormai risaputo che usiamo le potenzialità del nostro cervello in minima parte, lo dicevano già i filosofi del passato. Voglio credere che questa evoluzione si possa ancora realizzare. Ma lancio anche un messaggio di consapevolezza... il male è sempre dietro l'angolo, fuori e dentro di noi, ed è faticoso imbrigliarlo e domarlo. Bisogna sforzarsi e non lasciarsi risucchiare dal baratro della tristezza. Ciò che credo emerga da questa storia è che ci si salva solo volando. Per volare ci vogliono certi pensieri, quelli più belli del Mondo Parallelo.
C'è anche una forte componente psicologica nella tua storia, specialmente per quel che riguarda il dualismo . Vuoi dirci qualcosa di più su questo aspetto?
Si è vero. La dicotomia bene e male è sempre presente in tutto il percorso di Irene, sia fuori che dentro di lei. Ho voluto mantenerla anche nell'ambiente che la circonda, con una sorta di amplificazione sensoriale che avvolge la protagonista man mano che si affaccia alle nuove tappe del suo viaggio. Il dualismo la metterà a dura prova nell'incontro con Neréi: forse è il conflitto più insidioso a cui la sottopongo. Alla base c'è la convinzione che per stare al mondo dobbiamo necessariamente soggiogare una parte di noi. Questo aspetto però non vale per gli animali: proprio perché perfettamente integrati nel loro esistere possono essere se stessi, e di fatto sono esseri superiori.
Grazie Alice e buona lettura a tutti.