INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTORE DI L'OCCHIO DI SHAKA
Signor Neggia quando e perché ha iniziato a scrivere? Da quanto scrive?
Non chiedetemi di risalire tanto indietro nel tempo, ad una certa età è un esercizio che può risultare deprimente. Ho scritto fin da quando ero un ragazzino tante cose che sono rimaste ad ammuffire in un cassetto. Ho provato ad inviare ogni tanto un racconto ad un editore ricevendo le solite immancabili risposte di rifiuto. Ho ceduto una volta alla vanità di far stampare un romanzo a mie spese, cosa di cui mi pento ancora oggi. Tutta la mia storia di scrittore, per ora, si può facilmente racchiudere in queste poche righe.
Quando preferisce scrivere? Ha dei rituali?
Di solito elaboro quello che voglio mettere sulla carta la sera prima di addormentarmi e lo butto giù di getto la mattina appena mi alzo (sempre che ne abbia il tempo e che non abbia mangiato o bevuto troppo la sera prima).
Com'è nata l'idea di ambientare un romanzo nel futuro e in Sud Africa?
Da sempre sono affascinato dalla storia e dalla fantascienza. Questi due generi letterari mi portano ad elaborare scenari proiettati in un futuro non troppo lontano dove tento di utilizzare gli elementi che muovono i processi storici attuali per prevedere quello che succederà domani.
Naturalmente tutto è filtrato dal mio personale, parziale ed opinabile punto di vista.
Il Sudafrica mi è sembrato lo scenario più adatto per proiettare la vicenda collettiva di un mondo lacerato e diviso da profonde divisioni etniche e culturali, capace di produrre nel passato alcuni dei sistemi più crudeli ed ingiusti che siano mai stati inventati per tenere la maggior parte della popolazione sottomessa ad una minoranza dominante solo in base al colore della pelle. Ma capace anche di produrre gigantesche figure storiche che si prestano ad essere mitizzate nel bene e nel male, come Shaka il re guerriero degli zulu o come Mandela il campione della lotta contro l’apartheid. Inoltre è stato in grado di produrre un sistema politico che ora permette la pacifica convivenza di razze e culture che prima si odiavano e si combattevano.
In questa scelta, come spiego nella nota di ringraziamento alla fine del libro, ho trovato un “complice”, involontario e del tutto inconsapevole, che si chiama Dominique Lapierre che ha scritto (insieme a tante altre opere indimenticabili) quello che per me è il romanzo che meglio spiega la storia di questo affascinante e tormentato paese "Un arcobaleno nella notte".
Qual è il messaggio della storia?
Questa domanda temo che richieda una risposta lunga e complicata
Il messaggio che tento di far emergere dalla mia storia è racchiuso nell’immagine del titolo: “L’occhio di Shaka” che è un congegno privo di qualunque valore ed efficacia reale, inventato da uno pseudointellettuale che pretende di utilizzarlo e farlo utilizzare agli altri per capire se la persona che si sta osservando è un nemico e se nasconde dentro di sé l’animo di un demone da combattere ed annientare. In altre parole è una "patacca" che però molta gente usa senza porsi troppe domande, convincendosi che funziona perché gli permette di vedere quello che in realtà vuole vedere in base ai propri pregiudizi, odi e timori di chiunque venga percepito. Nello scenario che ho immaginato la crisi innescata da questo e tanti altri fattori rompe la fragile patina di civiltà e reciproca tolleranza che fino a quel momento ha permesso alla civiltà sudafricana di convivere pacificamente e rischia di farla precipitare in un nuovo conflitto etnico. Ma questa volta un dio beffardo in vena di divertirsi a nostre spese ha rimescolato le carte ed i ruoli: quelli che un tempo erano i carnefici diventano vittime e le vittime del passato si trasformano in feroci persecutori dei loro vecchi aguzzini.
Tutto questo lungo discorso per spiegare che in realtà un vero messaggio non esiste, al massimo delle domande del tipo:
Ci toccherà sempre assistere o partecipare come comparse agli stessi drammi storici recitando le parti delle vittime o dei carnefici a seconda delle circostanze?
Non siamo ancora stanchi di questo repertorio ormai trito e scontato ?
E soprattutto non impariamo mai nulla dagli errori passati?
A quale personaggio è più affezionato?
Chiunque mi legge intuisce facilmente che io prediligo i personaggi tormentati dai dubbi e dai conflitti di coscienza. Ed in questo senso il personaggio del giudice è sicuramente quello che detiene il primo posto in assoluto.
Questo particolare personaggio ama la giustizia e si trova a dover condurre un’inchiesta che lo porterà inevitabilmente ad emettere una sentenza che non potrà punire il colpevole del delitto commesso dato che si è già tolto la vita spontaneamente . Ma non potrà neppure punire i "mandanti morali" dell’assassino/suicida perché la legge non gli fornisce gli strumenti necessari per colpirli.
Lui ama la pace e la tolleranza tra gli uomini e si trova a dover decidere se concedere alle vittime un risarcimento che si tradurrà inevitabilmente in acquisti di armi che verranno utilizzate dagli estremisti di una delle due parti che stanno per entrare in conflitto per massacrare quelli della parte avversa, mentre gli estremisti di questa parte si serviranno della sua sentenza come uno strumento di propaganda per rinfocolare l’odio razziale che sta già dilagando dappertutto.
Lui cerca sempre e comunque di capire i motivi che spingono colpevoli e vittime a comportarsi in un certo modo e si trova a dover decifrare il comportamento di un uomo ricco, capace di mettere in piedi e di gestire con metodi innovativi una grande fattoria, circondato dall’amore e dal rispetto della sua famiglia e dei suoi amici, che si sveglia una mattina, indossa gli abiti tribali di un guerriero d’altri tempi e va ad uccidere altri uomini di una razza diversa. Più il giudice cerca di capirlo e più si accorge che quest’uomo non è un pazzo, ma una persona col cervello avvelenato da ideologie basate sul culto dell’odio per chi è diverso, ideologie che si stanno rapidamente diffondendo fino a coinvolgere una buona parte dei membri della società in cui vive.
Potrei andare avanti a citare altri dubbi e tormenti di questo personaggio, ma mi fermo qui con una piccola riflessione: lo amo davvero oppure la verità è che lo odio e mi diverto sadicamente a metterlo nelle situazioni più adatte ad alimentare le sue angosce? Decidetelo voi dopo aver letto il romanzo.
C'è un chiaro riferimento all'Italia e a una possibile trasformazione delle vicende intestine. Dove nasce lo spunto per questo particolare cambiamento?
Più che uno spunto per prevedere un cambiamento in questo caso si tratta di una specie di rito esorcistico. Descrivo una situazione immaginaria ma purtroppo non impossibile perché intendo scongiurare la possibilità che si realizzi. Gli spunti li prendo dalla cronaca riportata su tutti i giornali e gli altri organi d’informazione. Da una parte ci sono organizzazioni malavitose molto potenti che, in diverse zone del nostro paese, controllano e tengono in piedi le attività produttive per il semplice motivo che sono le uniche ad avere i soldi necessari per farlo. I loro capi storici sono quasi tutti in prigione o decimati dalle faide interne, ma spesso sono le loro mogli o figlie e sorelle che prendono in mano la situazione e la gestiscono fin troppo bene.
Dall’altra parte c’è uno stato vicino alla bancarotta, una classe dirigente screditata ed incapace ed un paese (cioè noi tutti) completamente sfibrato dalla crisi, anche dal punto di vista sociale e morale. Mettete insieme questi elementi e ditemi quanto ci metteranno a capire che possono prendere il potere se si mettono d’accordo ed agiscono tutti insieme. Su questo punto attendo smentite, anzi le invoco, ditemi che è solo un mio incubo personale che non potrà mai diventare realtà.
La lotta e il razzismo persistono anche nel futuro in un mondo ostile per le scarse risorse, ma la grande innovazione tecnologica permette risultati anche nel deserto. Ci vuole parlare di questa attenzione all'ambiente?
La vostra domanda contiene già gran parte della risposta. Da parte mia, come vecchio tecnologo, posso aggiungere queste riflessioni: non si può risolvere tutto con la tecnologia, ma essa è uno strano meccanismo che quando parte può produrre grandi disastri e problemi di ogni tipo, però contiene anche al suo interno tutti i mezzi e le potenzialità necessarie per rimediare e risolvere. Bisogna solo capire come farla procedere nella direzione giusta, che poi dovrebbe essere quella che porterà noi ed il nostro ambiente a convivere nel miglior modo possibile . Ma per raggiungere questo risultato non basta la competenza, quella bene o male l’abbiamo anche appresa. Ci vorrebbe anche una buona dose di umiltà ed una chiara visione morale, concetti questi che nessuno ci ha mai insegnato non solo a possedere, ma neppure a cercare.
È evidente e ben delineato il rapporto tra il giudice e sua figlia. È un rapporto che in qualche modo ritrova nella sua vita personale?
Allora è proprio evidente! Ammetto che esiste un riflesso autobiografico nella descrizione di quel particolare rapporto che si crea tra padre e figlia .Un rapporto che nel mio caso, ma da quello che ho visto anche in molti altri, si traduce in amore, complicità ed una sorta di reciproca dipendenza . La figlia adora il padre, ne fa il suo punto di riferimento e la sua fonte di sicurezza.
Il padre adora la figlia e si crogiola nella sua ammirazione e ne trae forza e voglia di vivere. Ma tutto questo dura poco, perché la figlia cresce e comincia a capire che il padre non è il modello di perfezione che lei si era creato nella sua mente adolescente. Troppo spesso resta delusa, così perde fiducia, abbandona il suo vecchio modello e comincia a cercare un nuovo punto di riferimento.
Un processo doloroso ma necessario per farla maturare. Anche per noi padri è doloroso ma dobbiamo accettarlo, nel nostro caso semplicemente perché non possiamo farci assolutamente nulla.
Oltre a questo romanzo ci sono altri progetti in lavorazione?
Al momento solo il progetto di un racconto incompleto che, se non cambio idea mentre lo sviluppo, si intitolerà “Un treno per il centro”. L’argomento dovrebbe essere quello di una specie di reality televisivo ambientato su di un treno, ipertecnologico ed iperecologico, che corre su un lungo percorso chiuso ad anello, senza avere una vera destinazione perché il suo scopo non è quello di portare gente da un posto all’altro, ma quello di mantenere in vita un grande spettacolo mediatico che resta continuamente in onda, senza un inizio e senza una fine.