INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTORE DI SUICIDI PER IL RE DI SPADE
Ciao Nazzareno, come è nata l'idea di scrivere Suicidi per il re di spade?
Ogni giorno i notiziari portano alla ribalta misfatti più o meno gravi, e non sempre la legge punisce in modo adeguato i colpevoli, anzi talvolta certi mascalzoni finiscono addirittura per diventare personaggi televisivi. Ciò non può che indignare chiunque ami la giustizia, non a caso sono stati fatti molti film che hanno come protagonisti vari giustizieri, ed è un tema che viene da lontano, basti pensare a Zorro o a Robin Hood. Poiché anch’io resto sconcertato quando assisto a palesi ingiustizie, ho voluto manifestare questo mio sentimento in una forma che induca a riflettere sull’argomento.
Una giornalista, immagino non sia un caso…
Nutro molta ammirazione per la professione del giornalista nonostante i pessimi esempi che ci circondano. È un mestiere che, come ho già detto in altre occasioni, avrei voluto fare se i casi della vita non mi avessero portato su altre strade.
I giornalisti che stimo sono quelli che hanno il coraggio di esprimere liberamente il proprio pensiero, anche andando controcorrente, rifiutando di servire il padrone di turno. Penso alle grandi penne del passato, come Indro Montanelli, Oriana Fallaci, Giorgio Bocca, ma mi pare che di giornalisti seri e amanti della verità ce ne siano anche oggi.
Sicuramente fare il giornalista onesto richiede del coraggio, e per una donna ne richiede ancora di più, per questo nel romanzo ho assegnato il ruolo di protagonista a una giornalista.
Come mai hai scelto Giaveno, Alpignano e Torino come ambientazione?
Penso che ambientare le storie nel mio territorio possa renderle più credibili e più vicine al lettore, inoltre mi consente di descrivere luoghi che conosco bene e che meritano di essere valorizzati. Il romanzo inizia proprio dalla località dove risiedo, Alpignano, e in particolare dal Ponte Nuovo, reso ormai tristemente famoso dai numerosi suicidi tentati o riusciti che si sono susseguiti nel tempo.
Il tuo giallo non è fine a se stesso, ma porta con sé un messaggio, ce ne vuoi parlare?
In parte ho già risposto con la prima domanda, ma se devo rivelare un possibile intento morale, peraltro facilmente individuabile leggendo il libro, è la denuncia dell’ipocrisia che considero l’ottavo vizio capitale. Questo atteggiamento, che si basa sulla simulazione di virtù, di buoni sentimenti o di devozione religiosa per guadagnare simpatia e stima, è purtroppo assai diffuso. Nel romanzo l’ipocrisia, compagna della falsità, spesso nasconde comportamenti criminali da parte di alcuni personaggi.
Le carte presenti nel romanzo hanno un valore soprattutto simbolico, perché hai scelto proprio i tarocchi e gli arcani maggiori?
I tarocchi non sono soltanto comuni carte da gioco con un’origine molto antica, in particolare i ventidue arcani maggiori sono vere e proprie immagini psicologiche, come ho scritto citando C.G. Jung. Sono archetipi che ci permettono di far emergere contenuti dell’inconscio, così come avviene nell’interpretazione psicoanalitica dei sogni.
Sono figure che aiutano a riflettere sulla natura umana. Prendiamo ad esempio il numero uno degli arcani maggiori, il Bagatto o Mago, primo in ordine di apparizione nel romanzo,
Il personaggio della carta appare subito come qualcuno che cerca di attrarre l’attenzione su tanti oggetti disposti sul tavolo, il suo fare accattivante però non è convincente e nasconde la sua vera natura di imbonitore e fa pensare a quegli imbroglioni da sagra paesana che fanno il gioco delle tre carte per buggerare i gonzi. Infatti, se si osserva con attenzione la carta, si scopre il trucco nascosto nel tavolino rettangolare che si regge nonostante abbia soltanto tre gambe, mentre sembra quasi che la quarta gamba sia dello stesso Bagatto. Morale: non fidarsi delle apparenze.
Quindi l’osservazione di ciascun arcano maggiore può indurre a riflettere sulla psicologia degli esseri umani, con pregi e difetti, vizi e virtù, rendendoci più consapevoli.
A che tipo di lettori è indirizzato il tuo romanzo?
Quando scrivo, cerco sempre di rivolgermi a un’ampia platea di lettori e non solo a chi ama il giallo, infatti sia Amara luce a Villa Margot che questo romanzo, a mio parere, sono gialli poco ortodossi, che non rispettano tutti i canoni del genere letterario noir o poliziesco. Pertanto il libro è indirizzato a tutti quelli che desiderano trascorrere qualche ora piacevole e divertente. Per questo ho cercato di rendere la narrazione scorrevole e fruibile anche da chi è meno abituato a leggere.
Complimenti per questo giallo di cui si può parlare per i suoi contenuti senza dover svelare la trama, e che, per questo motivo, lascia al lettore qualche riflessione in più di un “semplice” giallo.
Ciao Nazzareno, come è nata l'idea di scrivere Suicidi per il re di spade?
Ogni giorno i notiziari portano alla ribalta misfatti più o meno gravi, e non sempre la legge punisce in modo adeguato i colpevoli, anzi talvolta certi mascalzoni finiscono addirittura per diventare personaggi televisivi. Ciò non può che indignare chiunque ami la giustizia, non a caso sono stati fatti molti film che hanno come protagonisti vari giustizieri, ed è un tema che viene da lontano, basti pensare a Zorro o a Robin Hood. Poiché anch’io resto sconcertato quando assisto a palesi ingiustizie, ho voluto manifestare questo mio sentimento in una forma che induca a riflettere sull’argomento.
Una giornalista, immagino non sia un caso…
Nutro molta ammirazione per la professione del giornalista nonostante i pessimi esempi che ci circondano. È un mestiere che, come ho già detto in altre occasioni, avrei voluto fare se i casi della vita non mi avessero portato su altre strade.
I giornalisti che stimo sono quelli che hanno il coraggio di esprimere liberamente il proprio pensiero, anche andando controcorrente, rifiutando di servire il padrone di turno. Penso alle grandi penne del passato, come Indro Montanelli, Oriana Fallaci, Giorgio Bocca, ma mi pare che di giornalisti seri e amanti della verità ce ne siano anche oggi.
Sicuramente fare il giornalista onesto richiede del coraggio, e per una donna ne richiede ancora di più, per questo nel romanzo ho assegnato il ruolo di protagonista a una giornalista.
Come mai hai scelto Giaveno, Alpignano e Torino come ambientazione?
Penso che ambientare le storie nel mio territorio possa renderle più credibili e più vicine al lettore, inoltre mi consente di descrivere luoghi che conosco bene e che meritano di essere valorizzati. Il romanzo inizia proprio dalla località dove risiedo, Alpignano, e in particolare dal Ponte Nuovo, reso ormai tristemente famoso dai numerosi suicidi tentati o riusciti che si sono susseguiti nel tempo.
Il tuo giallo non è fine a se stesso, ma porta con sé un messaggio, ce ne vuoi parlare?
In parte ho già risposto con la prima domanda, ma se devo rivelare un possibile intento morale, peraltro facilmente individuabile leggendo il libro, è la denuncia dell’ipocrisia che considero l’ottavo vizio capitale. Questo atteggiamento, che si basa sulla simulazione di virtù, di buoni sentimenti o di devozione religiosa per guadagnare simpatia e stima, è purtroppo assai diffuso. Nel romanzo l’ipocrisia, compagna della falsità, spesso nasconde comportamenti criminali da parte di alcuni personaggi.
Le carte presenti nel romanzo hanno un valore soprattutto simbolico, perché hai scelto proprio i tarocchi e gli arcani maggiori?
I tarocchi non sono soltanto comuni carte da gioco con un’origine molto antica, in particolare i ventidue arcani maggiori sono vere e proprie immagini psicologiche, come ho scritto citando C.G. Jung. Sono archetipi che ci permettono di far emergere contenuti dell’inconscio, così come avviene nell’interpretazione psicoanalitica dei sogni.
Sono figure che aiutano a riflettere sulla natura umana. Prendiamo ad esempio il numero uno degli arcani maggiori, il Bagatto o Mago, primo in ordine di apparizione nel romanzo,
Il personaggio della carta appare subito come qualcuno che cerca di attrarre l’attenzione su tanti oggetti disposti sul tavolo, il suo fare accattivante però non è convincente e nasconde la sua vera natura di imbonitore e fa pensare a quegli imbroglioni da sagra paesana che fanno il gioco delle tre carte per buggerare i gonzi. Infatti, se si osserva con attenzione la carta, si scopre il trucco nascosto nel tavolino rettangolare che si regge nonostante abbia soltanto tre gambe, mentre sembra quasi che la quarta gamba sia dello stesso Bagatto. Morale: non fidarsi delle apparenze.
Quindi l’osservazione di ciascun arcano maggiore può indurre a riflettere sulla psicologia degli esseri umani, con pregi e difetti, vizi e virtù, rendendoci più consapevoli.
A che tipo di lettori è indirizzato il tuo romanzo?
Quando scrivo, cerco sempre di rivolgermi a un’ampia platea di lettori e non solo a chi ama il giallo, infatti sia Amara luce a Villa Margot che questo romanzo, a mio parere, sono gialli poco ortodossi, che non rispettano tutti i canoni del genere letterario noir o poliziesco. Pertanto il libro è indirizzato a tutti quelli che desiderano trascorrere qualche ora piacevole e divertente. Per questo ho cercato di rendere la narrazione scorrevole e fruibile anche da chi è meno abituato a leggere.
Complimenti per questo giallo di cui si può parlare per i suoi contenuti senza dover svelare la trama, e che, per questo motivo, lascia al lettore qualche riflessione in più di un “semplice” giallo.