
INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTRICE DI LA VERITA' DEI GELSI
Ciao Annamaria. Come è nata l'idea di scrivere La verità dei gelsi?
Molte delle mie idee arrivano quando viaggio. Era giugno o luglio del 2010 e stavo lavorando in un centro estivo a Torino. Mi spostavo con i mezzi pubblici e leggevo molto durante il tragitto. Un giorno, sono entrata in una cartolibreria del centro, ho scelto il quaderno con la copertina che mi piaceva di più e una biro blu (non scrivo mai con la penna nera) e in metro ho iniziato a scrivere di quello che conoscevo meglio: le mie origini.
Oltre al protagonista principale, a quale altro personaggio sei più legata? Perché?
Una delle mie protagoniste preferite è Carmela Faraci perché non si arrende mai, neanche quando la vita vuole toglierle quasi tutto, lei si aggrappa a quel poco che le resta e riparte da lì, con determinazione e, a volte, senza farsi scrupoli, per cercare di risalire la china. Dura come le pietre della costa in alcune zone della Sicilia, può sembrare arida come durante l’arsura estiva anche se in realtà è spinta da un motore universale: l’amore. Scrivere di lei mi ha molto divertita.
L'ambientazione in Sicilia e a Torino è casuale o l'hai scelta per qualche motivo?
Io e mia sorella siamo le prime della nostra famiglia ad essere nate a Torino. Mio padre è arrivato qui intorno ai vent’anni per lavoro, mentre mia madre vi si è stabilita con la sua famiglia quando aveva due anni. Entrambi sono siciliani e, grazie a questo, ho sempre trascorso buona parte delle vacanze estive dai nonni paterni che sono rimasti a vivere in un paesino in provincia di Messina. Torino è la “mia” città, la Sicilia la “mia” isola!
Cosa ti lega ai gelsi? Perché li hai scelti come paragone al "momento della verità"?
Da piccola credevo che i gelsi si trovassero solo in Sicilia, ora so che non è così per fortuna. Raccoglierli però è sempre stata un’ardua impresa: se li prendevo buoni da mangiare erano così maturi e cotti dal sole che mi si scioglievano in mano (quante magliette macchiate!), se invece le mie mani restavano intonse allora mi facevano accapponare la lingua e li dovevo buttare! Spesso mi ritrovavo nella seconda situazione: come tutti i bambini, ero impaziente e alla fine restavo a bocca asciutta!
L’impazienza di quel moneto mi è sembrata un buon paragone.
Hai voluto ripercorrere quattro generazioni, c'è un motivo preciso per cui hai scelto questo spazio temporale? Hai dovuto informarti o le tue conoscenze sul realismo dei fatti ti derivano da racconti?
Sono stata una bambina che ha avuto la fortuna di trascorrere molto tempo con tutti e quattro i nonni: quelli paterni mi tenevano con loro durante i mesi estivi e quelli materni, abitando anche molto vicini, li vedevo tutti i giorni. Mi è sempre piaciuto ascoltare le loro storie, le storie delle loro famiglie. Il tutto è stato poi rielaborato dalla mia fantasia. Mi sono documentata un po’ per quanto riguarda le restrizioni per l’immigrazione negli USA, ma ho giocato in casa, perché insegnando inglese ci sono molti autori anglo-americani che ne parlano.
Viaggio, riscatto, famiglia sono i temi principali della storia: ci vuoi parlare di questi tre elementi?
Sono temi principali in ogni storia di immigrazione, come ci insegnano anche i fatti di cronaca sull’immigrazione dei giorni nostri. Una volta, noi, i meridionali per gli abitanti del nord Italia o ancora più genericamente gli italiani per gli americani, eravamo considerati l’Altro. La voglia di riscatto e il tentativo di dare un futuro migliore alla propria famiglia sono le motivazioni di questo tipo di viaggio ieri come oggi. I migranti, gli Altri di oggi, scappano dalle guerre mentre noi scappavamo dalla fame e dalla mancanza di lavoro. La disperazione e il desiderio di realizzare un progetto di vita migliore portano in alcuni casi, come si legge anche nel libro, a delinquere. Ma sembra che molte persone abbiano dimenticato che un tempo quelli non desiderati siamo stati noi. I miei nonni hanno avuto la fortuna di incontrare persone splendide arrivati a Torino, ma la loro vita è stata costellata da sacrifici e rinunce e una nostalgia perenne per la loro terra.
Nella storia si parla di un amore nato col tempo, pensi che sia ancora possibile un amore come quello che tu descrivi?
Non saprei. Per un amore come quello che racconto nel libro ci vuole tanta pazienza e adesso sembra che il mondo vada ad una velocità tale per cui i sentimenti devono essere istantanei, se no non vale la pena perdere tempo.
Quando scrivi hai un posto in particolare dove farlo e un orario oppure è tutto molto casuale?
Non ho posti o routine particolari da rispettare. Scrivo quando ho tempo e soprattutto quando ho qualcosa da scrivere… per cui i miei progetti sono un po’ in stile “bradipo”, però poi arrivo al dunque in qualche modo. Se non riesco a fissare l’idea subito al pc, la memorizzo sul telefono e poi se l’idea è buona mi ricordo di rivederla, altrimenti resta un’idea.
Hai dei progetti in lavorazione?
Sto scrivendo da un paio di anni (l’ho detto che sono lenta, no?) un altro “racconto lungo”, meno introspettivo e i cui personaggi mi divertono tanto. Chissà…
Come è nata la tua passione per la scrittura?
La passione per la lettura è nata prima. Da quando ho imparato a leggere mi si sono aperti un’infinità di mondi possibili. I protagonisti dei racconti che mi piacevano di più diventavano quasi degli amici, mi tenevano compagnia. Ho iniziato a scrivere perché avevo tante storie in testa e tanti personaggi e spero che qualcuno di loro possa trovare dei lettori a cui fare compagnia.
Quali sono gli scrittori che ami maggiormente e ai quali ti ispiri?
Adoro Virginia Woolf: tra i classici anglofoni, lei è la mia preferita. Tra gli italiani del passato amo particolarmente Pirandello e Verga (per motivi ovvi) e Calvino. Isabel Allende e Simonetta Agnello Hornby sono le mie autrici contemporanee preferite. Ho poi un debole per Camilleri che, credo abbia influenzato la mia voglia di inserire frasi in dialetto.