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ImmagineBarbara Derro

INTERVISTA DELL'EDITORE ALL'AUTRICE DI LUCE OLTRE LA SOGLIA


Oggi facciamo due parole con Barbara Derro

Ciao Barbara, partiamo con la domanda di rito: come nasce Luce oltre la soglia-Villa Azzurra?
Luce oltre la soglia nasce grazie a un progetto scolastico al quale ebbi la fortuna di partecipare con i miei studenti, nell’anno scolastico 2017-2018. In quel contesto lavorammo sul tema del “Campo 17” di Grugliasco e fu lì che vidi per la prima volta il comprensorio nel quale si trova ancora oggi Villa Azzurra, con la sua mastodontica struttura fatiscente e con la sua storia terribile.
 
C’è un motivo particolare per cui hai scelto questo argomento?
Dunque, il motivo principale che mi ha guidata è stato il desiderio di omaggiare in qualche modo l’impresa del fotografo Mauro Vallinotto e del coraggio che ha dimostrato nell’affrontare l’impatto con una realtà così straziante. Lui, infatti, è stato il fotografo le cui immagini di denuncia sono entrate nella storia, rivelando le tremende condizioni alle quali erano sottoposti i piccoli pazienti del manicomio.
 
Come hai affrontato l’idea di trattare un tema legato a un luogo così carico di dolore?
In realtà ho avuto mille ripensamenti e tante volte mi sono chiesta se fosse corretto o meno affrontare questo tema con le cifre stilistiche della narrativa. Poi ho riflettuto sul mio ruolo di docente e mi sono tornate alla mente le parole di Primo Levi sull’importanza della memoria, “l’ustione del ricordo”, così la chiamava lui, quella memoria che brucia ancora e fa male da morire, ma che abbiamo il dovere di conservare sempre, affinché possa cambiare le cose. Villa Azzurra rappresenta una pagina amara di cronaca locale e nazionale, è uno dei luoghi della memoria che il nostro territorio conserva e che va raccontato, soprattutto ai giovani. Ecco perché ho deciso di non scrivere un saggio, ma un romanzo che potesse arrivare in maniera più agile a un numero maggiore di persone, per far conoscere quello che è stato e che non dovrà mai più essere il destino di tante persone.
   
Perché proprio Villa Azzurra?
Ci sono luoghi che ti entrano nell’anima e non ne escono più, Villa Azzurra per me è uno di questi. Ricordo come fosse oggi il giorno in cui la vidi per la prima volta: la sua figura austera, quella scritta incisa: “Sezione Medico-Pedagogica” e poi i vetri in frantumi e le piante rampicanti che strisciavano sul suo profilo aguzzo, in una sorta di abbraccio tra natura e architettura, tra il passato e il presente. Questo connubio mi ha affascinata, commossa e spaventata allo stesso tempo. Ha giocato su di me un vero e proprio richiamo che non ho potuto ignorare, anche per la passione che nutro da anni per il mondo dell’urbex, esplorazione urbana di luoghi dimenticati.
 
Il tuo racconto unisce il mondo terreno e quello ultraterreno, è un escamotage per raccontare una vicenda importante della nostra storia, o serve a rendere la narrazione intrigante? Una parte di te potrebbe credere a questo tipo di comunicazioni?
Mi piace rispondere a questa domanda attraverso le parole di Andrea, uno dei personaggi principali del romanzo: “noi non siamo che minuscoli esseri finiti in un universo infinito.” Io credo che esista, in qualche forma, la possibilità di un contatto di anime o di energie e credo anche che molte persone non vogliano accettare questa eventualità perché ne hanno timore. In fondo, si sa, sono proprio le cose che non conosciamo quelle che ci fanno più paura.
 
Lasciando da parte Bruno e Andrea, i due protagonisti, qual è il personaggio secondario che hai amato di più? Perché?
Questa è una domanda difficile! I personaggi che ho inserito nella storia hanno tutti un posto speciale nel mio cuore, ma dovendo sceglierne uno soltanto, di certo il mio pensiero va al piccolo Gianni. Lui simbolicamente rappresenta tutte quelle foglioline che danzano nel vento, alle quali ho dedicato il mio romanzo. Lui è una delle piccole anime fragili di Villa Azzurra, uno dei tanti bambini abbandonati dietro le pesanti porte di un manicomio infernale. Una vita spezzata dalle terapie e dalla contenzione, dai castighi e dalla deprivazione di ogni forma di amore. Lui è il simbolo di quanto i bambini siano vittime innocenti dell’ingiustizia commessa dagli adulti. Un tema più che mai attuale, purtroppo.
 
Quanta parte di te c’è in questo racconto, che apparentemente potrebbe non svelare nulla di autobiografico?
Credo che ogni autore, in maniera più o meno consapevole, metta molto di sé nelle vicende e nelle caratteristiche dei personaggi che racconta e forse è proprio questo che rende difficile lasciarli andare dopo la pubblicazione; ci si sente messi a nudo. Come ho indicato nel disclaimer del testo, ogni riferimento a nomi di luoghi e di persona è frutto della mia fantasia.  Di me e di autobiografico, tuttavia, ci sono diversi richiami, dalle piccole alle grandi cose, dal pupazzetto di Elvis che danza sul cruscotto dell’auto sgangherata di Andrea, a Roberto e Sandro, a cui va tutto il mio affetto.
 
Il tuo romanzo fa riflettere su vari aspetti e alcune tematiche, quello che più mi ha colpito è il prendersi cura di chi è diverso, come Sandro. È un punto su cui volevi mettere un accento o è venuto da sé in base allo svolgimento dei fatti?
Il romanzo nasce proprio intorno al tema del prendersi cura di chi è in difficoltà fisica o emotiva. Nel caso specifico del luogo che fa da scenario alle vicende narrate, il tema sotteso è la malattia mentale, nella sua storia ed evoluzione. Ma c’è di più, l’idea di fondo che ha scavato dentro me è stata la riflessione su quanto sia importante riconoscere la fragilità di chi ci sta vicino e tendere una mano per fare ciò che possiamo. Questa urgenza me la dimostrano e nel contempo me la insegnano ogni giorno i miei studenti.
 
Tu sei un’insegnante d’arte: quanto è importante la nostra espressione e creatività per riuscire ad aiutare se stessi e gli altri?
L’espressione artistica è un mezzo estremamente efficace per far emergere il proprio mondo interiore e condividerlo con le persone che ci circondano, entrando così in connessione e creando ponti tra sé e gli altri. Ma l’arte ha anche un altro potenziale immenso: essere lo specchio dei tempi. Attraverso la manifestazione artistica possiamo esprimere i nostri pensieri in merito ai grandi temi sociali, politici, etici e morali, aiutando noi e chi ci sta accanto a riflettere su questioni personali, ma anche su argomenti di portata universale. D’altra parte proprio il grande Vasilij Kandinskij affermava che “ogni opera d’arte è figlia del suo tempo e spesso è madre dei nostri sentimenti”.
  
Grazie Barbara per questo romanzo che travolge e rapisce su più fronti.


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